Convegno" Vecchie e nuove dipendenze: Tra mutamento sociale e relazione d'aiuto".
L'8 e il 9 Aprile sono stata relatrice a questo convegno con un intervento dal titolo "L'importanza strategica del corpo nelle dipendenze", un occasione per riflettere sul rapporto tra il corpo e i suoi vissuti nell'esperienza della dipendenza.
Durante il convegno ho anche condotto il workshop di Danzaterapia dal titolo "il corpo nella dipendenza".
A seguito potete leggere l'articolo che ho scritto.
L’importanza strategica del corpo nelle dipendenze
Di Linda Rosaria Faggiano
«Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chi sa a quale scopo per il tuo corpo è necessaria proprio la tua migliore saggezza».
F. Nietzsche
Quando mi è stato chiesto di preparare l’intervento per il convegno, mi sono chiesta com’è il corpo nelle dipendenze, quali sono le sue caratteristiche, quale la sua funzione? Ho cominciato così una ricerca partita dalle mie memorie sulle immagini dei corpi dei tossicodipendenti che, avevo incontrato nella mia vita; affioravano immagini di corpi ipotonici, privi di equilibrio, trascurati; poi mi sono resa conto che quelle immagini erano molto lontane nel tempo e nello spazio, come vecchie foto ingiallite, quelle immagini sono oggi sempre più rare, in quanto le dipendenze si stanno trasformando e il ventaglio di possibilità è sempre più esteso. Si può, infatti, essere dipendenti da sostanza, da cibo, o da un comportamento. Ciò che accomuna tutte le dipendenze è come queste vengono vissute, esibite, mostrate dal corpo. Se il ruolo del corpo è così importante nel vivere e narrare la dipendenza, tenere il conto di traumi, dolori e fatiche, può altrettanto esserlo nel trattamento della dipendenza stessa, qualunque sia la forma con la quale si è articolata nell’esperienza di vita delle persone, e non solo può essere importante, può diventare ed essere strategico.
Inquadriamo quindi il corpo. Che cos’è il corpo? Né la biologia, Né la chimica, scrive Dowing, ci possono dare sul corpo una risposta adeguata. Una cosa è il sostrato fisiologico del mio corpo, l’altra è l’esperienza che traggo dall’abitare nella mia dimora corporea, l’esperienza cioè di un corpo che ha un’interiorità, una soggettività, un senso di essere capace di azione.
Il corpo è quanto di più antico ed essenziale noi possediamo, è il primo e per molto tempo l’unico strumento attraverso il quale conosciamo noi stessi e il mondo che ci circonda (Pezzenati L.). Il luogo che abitiamo: «abitare non è conoscere, è sentirsi a casa, ospitati in uno spazio che non ci ignora, tra le cose che dicono il nostro vissuto, tra volti che non c’è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell’ultimo congedo. Abitare è sapere dove deporre l’abito, dove sedere alla mensa, dove incontrare l’altro, dove u-dire, rispondere, corrispondere». (Galimberti)
Il corpo, strumento attraverso il quale siamo nel mondo e ineriamo al mondo; il mezzo attraverso cui entriamo in relazione con gli altri, esprimiamo bisogni ed emozioni. Il corpo “tiene il conto” di tutte le nostre esperienze, muta e si trasforma a seguito del tempo che passa e che proprio nelle sue trasformazioni si palesa, corpo che rende visibile quanto stiamo vivendo, esprime la fatica, l’incontro con la malattia e con il disagio in tutte le sue pieghe.
Il corpo è centrale e trasversale in tutti i tipi di dipendenze, come scrivevo prima, l’esperienza della dipendenza, viene vissuta e narrata attraverso il corpo.
Nell’esperienza tossicomanica il corpo è il mezzo attraverso il quale la sostanza viene assunta, il corpo viene bucato per introdurre la dose, oppure la sostanza viene ingerita, o ancora sniffata. Il corpo vive il senso di benessere legato all’uso della sostanza, e gli effetti devastanti dell’astinenza; biologicamente sviluppa una progressiva tolleranza alla sostanza stessa e il conseguente processo di assuefazione che porta alla dipendenza fisica. Ancora corpo che viene usato come merce di scambio per procurarsi la sostanza, oggetto sessualizzato che non vive nella reciprocità, ma che viene esibito e al tempo stesso annullato.
Il corpo vive ed esprime con forza, anche il disagio della dipendenza affettiva, corpi che, esibiscono e conservano la memoria delle violenze, corpi informi, immobili, caratterizzati da movimenti che agiscono una strenua difesa, una gestualità che si presenta come ridotta, inceppata.
Inceppata è pure la gestualità del giocatore, i cui muscoli ripropongono all’infinito, posture e movenze automatizzate, che rimandano alle azioni ripetutamente compiute durante il gioco, momenti nei quali anche i più elementari bisogni fisiologici vengono ignorati.
Corpi di persone con dipendenza alimentare, che subiscono e rendono visibile l’iperalimentazione come la pressoché totale assenza di alimentazione, portando con sé tutti gli effetti e i danni fisici che questi comportamenti sregolati, hanno come corollario di sofferenza.
Il corpo quindi che vive, esprime e narra la frammentazione vissuta dalla persona dipendente, corpo che è anche il mezzo attraverso il quale è possibile ricomporre questa frammentazione dando nuova forma all’esperienza di vita.
Il corpo è, e diviene quindi strategico nel nuovo processo di individuazione e definizione di sé, che consente di abitare nuovamente lo spazio fisico e relazionale .
Il corpo dipendente quindi, che oscilla tra essere destato dalla sostanza o dal comportamento e l’essere negato, fino a scomparire a perdersi.
«Non so cosa sento, è come se la testa e il corpo non fossero collegati. Sto vivendo in un tunnel, in una nebbia, non importa ciò che accade, ho sempre la stessa reazione, ottundimento, il nulla. Fare un idromassaggio, ustionarsi o essere violentato comportano tutti lo stesso vissuto. Il mio cervello non sente». Dichiarazione di un paziente con PTSD, che soffriva di alessitimia. “Van Der Kolk”
L’Alessitimia è l’impossibilità di tradurre in parole le emozioni, le persone non possono descrivere ciò che sentono perché non riescono a identificare il significato delle loro sensazioni fisiche. Il non essere in grado di discernere ciò che accade all’interno del corpo causa la mancanza di contatto con i propri bisogni, con una conseguente difficoltà a prendersi cura di sé. Anche il comportamento dipendente rende difficile all’individuo dialogare con il proprio corpo, le proprie sensazioni e bisogni e anch’egli si trova in difficoltà quando deve prendersi cura di sé. La regolazione del sé dipende dall’avere una buona relazione con il proprio corpo, senza la quale si deve per forza fare affidamento su una regolazione esterna, farmaci, droga, alcol, rassicurazione costante, accondiscendenza compulsiva verso i desideri degli altri. Fare pace con il corpo, permette di fare esperienze che contrastano, in modo profondo e viscerale, l’impotenza, la rabbia e il collasso, consentendo alla persona di sentirsi viva nel presente.
Restituire centralità al corpo, intervenire per offrire un’alternativa a quei gesti automatici e sempre uguali, che la dipendenza sollecita, significa restituire alla persona la possibilità di agire attivamente nella propria esperienza di vita. Agency è il termine tecnico che indica il sentimento di avere in carico la propria vita: sapere dove si è, sapere di avere voce in capitolo, in ciò che ci accade e sapere di poter avere un’efficacia su ciò che ci sta intorno.
L’agency inizia con ciò che gli scienziati chiamano interocezione, la consapevolezza di vissuti sensoriali sottili provenienti dall’interno del nostro corpo: maggiore è questa consapevolezza, e maggiore sarà la capacità di controllare la nostra vita. Sapere cosa sentiamo è il primo passo per capire perché ci sentiamo in quel modo.
Se siamo consapevoli dei continui cambiamenti del mondo interno e del mondo esterno, possiamo, di conseguenza, affrontarli e gestirli. Scrive Galimberti: «L’intenzionalità del corpo umano, la sua originaria apertura al mondo, il suo es-porsi e attendere dal mondo indicazioni per sé, è attestato innanzitutto nella sua struttura anatomica. Noi siamo eretti non per la meccanica dello scheletro o per la regolazione nervosa del tono, ma perché siamo impegnati nel mondo. Come questo impegno viene meno, si riduce la presa sul mondo, il corpo si abbandona, quotidianamente nel sonno, e alla fine nella morte, dove diviene puro oggetto, cosa tra le cose, immobilità, non gesto, silenzio non parola, il corpo come lo concepisce l’anatomia.
Corpo quindi che ritrova la sua centralità e il dialogo corporeo.
Gamelli, citato da Grandese scrive: Il gesto manifesta le stesse funzioni della parola-pensiero. E’ un linguaggio senza parole con i propri codici e sottocodici: c’è una gestualità dell’aggressione, dell’amore, della rimozione e dell’occultamento. L’espressione del corpo è capace di risuonare del tutto che evoca.
Nel suo ritrovato ruolo centrale, il corpo può porsi come nuovo punto di riferimento, capace di sostituirsi a quelli che via, via si sgretolano, capace ancora di radicare e divenire presenza stabile. Scrive Borgna: “Quando la tristezza, invisibile agli occhi, che non sono bagnati di lacrime, vive nella nostra anima, ogni nostra sicurezza viene meno, e inutilmente andiamo alla ricerca di abituali punti di riferimento che si frantumano”.
Punto di riferimento, luogo abitato e da abitare sentendosi a proprio agio. Essere a proprio agio nel corpo, percepirlo stabile, corpo vitale e presente, mediatore tra sé e l’ambiente, permette di temporalizzarsi, spazializzarsi e quindi in definitiva essere – nel – mondo. Conoscere e abitare il corpo significa imprimere intenzionalità al proprio stare; corpo come veicolo di emozioni, come strumento espressivo, comunicativo che consente di pro-gettarsi nel mondo con intenzionalità e consapevolezza.
Concludendo, riconoscere il valore strategico del corpo significa restituirgli quella centralità che consente di:
- Liberare le emozioni incapsulate nei gesti e trovare nuove strategie e risorse per fare fronte alle istanze della vita.
- Accogliere la fragilità che è in ciascuno di noi senza sentirsi sopraffatti.
- Potere nuovamente AGIRE nel mondo con intenzionalità.
- Entrare in relazione con gli altri.
- Restituirgli al corpo il suo valore comunicativo.
Borgna scrive “si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio e con quello del corpo vivente, gli orizzonti di senso delle parole cambiano nella misura in cui si accompagnano, al linguaggio del silenzio, e a quello della voce, degli sguardi dei volti, che contrassegnano i modi di essere del corpo vivente. Noi siamo abituati a considerare il corpo, il modo di essere del corpo, del nostro corpo, del corpo degli altri, nella sua dimensione anatomica e fisiologica: come corpo cosa, come corpo-oggetto. Ma c’è un’altra dimensione del corpo ed è quella del corpo vivente che ci mette in comunicazione con noi stessi e con il mondo, ed è il corpo che è immerso in una cascata di significati che cambiano di emozione in emozione, di giorno in giorno, di ora in ora di situazione in situazione, in un carosello febbrile e temerario. Le emozioni, i modi di vivere le emozioni, si riflettono nei modi di essere e di trasformarsi del corpo, e molte emozioni, che non è facile esprimere verbalmente, si riconoscono analizzando le infinite metamorfosi del corpo: del corpo vivente. Corpo che vive, che comunica, che significa, che accompagna o sostituisce il linguaggio della parola”.
Diventa chiaro quindi quanto valore strategico abbia il corpo e quanto diventi quindi interessante, per chi si si occupa di relazione d’aiuto utilizzare questa leva, per progettare un intervento efficace con persone affette da dipendenza patologica.
Scrive Galimberti: “La coincidenza di corpo e presenza è in quel “sentirsi bene” in cui l’io aderisce al suo stato corporeo, lasciandosi invadere dalla calma, dal silenzio, ascoltando e ascoltandosi vivere.”
Linda Rosaria Faggiano
Arteterapeuta, Danzaterapeuta Clinica
“ Vecchie e nuove dipendenze: tra mutamento sociale e relazione d’aiuto”
Il corpo, strumento attraverso il quale siamo nel mondo e ineriamo al mondo; il mezzo attraverso cui entriamo in relazione con gli altri, esprimiamo bisogni ed emozioni. Il corpo “tiene il conto” di tutte le nostre esperienze, muta e si trasforma a seguito del tempo che passa e che proprio nelle sue trasformazioni si palesa, corpo che rende visibile quanto stiamo vivendo, esprime la fatica, l’incontro con la malattia e con il disagio in tutte le sue pieghe.
Il corpo è centrale e trasversale in tutti i tipi di dipendenze; l’esperienza della dipendenza, infatti, viene vissuta e narrata attraverso il corpo.
Nell’esperienza tossicomanica il corpo è il mezzo attraverso il quale la sostanza viene assunta, il corpo viene bucato per introdurre la dose, oppure la sostanza viene ingerita, o ancora sniffata. Il corpo vive il senso di benessere legato all’uso della sostanza, e gli effetti devastanti dell’astinenza; biologicamente sviluppa una progressiva tolleranza alla sostanza stessa e il conseguente processo di assuefazione che porta alla dipendenza fisica. Ancora corpo che viene usato come merce di scambio per procurarsi la sostanza, oggetto sessualizzato che non vive nella reciprocità, ma che viene esibito e al tempo stesso annullato.
Il corpo vive ed esprime con forza, anche il disagio della dipendenza affettiva, corpi che, esibiscono e conservano la memoria delle violenze, corpi informi, immobili, caratterizzati da movimenti che agiscono una strenua difesa, una gestualità che si presenta come ridotta, inceppata.
Inceppata è pure la gestualità del giocatore, i cui muscoli ripropongono all’infinito, posture e movenze automatizzate, che rimandano alle azioni ripetutamente compiute durante il gioco, momenti nei quali anche i più elementari bisogni fisiologici vengono ignorati.
Corpi di persone con dipendenza alimentare, che subiscono e rendono visibile l’iperalimentazione come la pressoché totale assenza di alimentazione, portando con sé tutti gli effetti e i danni fisici che questi comportamenti sregolati, hanno come corollario di sofferenza.
Il corpo quindi che vive, esprime e narra la frammentazione vissuta dalla persona dipendente, corpo che è anche il mezzo attraverso il quale è possibile ricomporre questa frammentazione dando nuova forma all’esperienza di vita.
Il corpo è, e diviene quindi strategico nel nuovo processo di individuazione e definizione di sé, che consente di abitare nuovamente lo spazio fisico e relazionale .
Scrive Galimberti: “La coincidenza di corpo e presenza è in quel “sentirsi bene” in cui l’io aderisce al suo stato corporeo, lasciandosi invadere dalla calma, dal silenzio, ascoltando e ascoltandosi vivere.”
Un sentirsi bene che può essere promosso da una relazione d’aiuto che, non escluda il corpo dal processo terapeutico, ma che ne faccia al contrario il suo strumento.